In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in sede di giudizio, a chi spetta l’onere di provare l’impossibilità di utilizzare il lavoratore in mansioni diverse da quelle svolte?
Al datore di lavoro.
La suprema Corte, infatti, con una recente sentenza del 12 gennaio 2017 n. 618, ha ribadito come sussista solo in capo al datore di lavoro (quindi non al lavoratore) l’onere di provare l’assolvimento dell’obbligo di repêchage in caso di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo.
La Corte ha altresì ribadito (in linea con precedenti sentenze tra cui la nota sentenza n. 4460/2015), come l’indicazione in ricorso da parte del lavoratore di un posto di lavoro alternativo a lui assegnabile, oppure l’allegazione di circostanze idonee a comprovare l’insussistenza del motivo oggettivo di licenziamento, non comporti alcuna inversione dell’onere della prova.
Per completezza, si ricorda come per obbligo di repechage si intenda la verifica, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che il datore di lavoro deve necessariamente effettuare – all’interno della propria azienda – volto a verificare la possibilità di poter adibire il lavoratore ad altre mansioni.